Limen

 

…La poetica di Frani si conferma innanzitutto come una poetica del velo e dell’attesa. Egli sa interrogare la superficie della tela e la superficie del mondo perchè vi sa vedere la profondità  che vi è implicata. E’ nella superficie che infatti si dà  il quadro e si dà  il mondo. Ma, come diceva Nietzsche, sarebbe del tutto ingenuo pensare che la superficie sia di per sè superficiale, cioè contrapposta al vero essere del mondo, come una parte caduca e secondaria rispetto alla centralità  sostanziale dell’essenza. No, Frani lavora sulla superficie ponendo nella superficie il mistero del mondo, la sua contingenza illimitata.
I suoi bianchi sono il frutto di stratificazioni di colore multiple, meticolose, liriche e, insieme, insistenti e accanite. La pace che egli raggiunge al termine dell’opera è ottenuta attraverso un lavoro tenace. Il suo bianco non è affatto un dato di partenza. Egli non parte dalla superficie, ma la raggiunge. I suoi bianchi sono così sempre popolati da macchie, ombre, presenze, piccole incisioni, scavi impercettibili, densità  discontinue su uno sfondo solo apparentemente omogeneo. Il suo sforzo monocromo ruota in modo privilegiato attorno all’oscillazione dell’assenza nella presenza e viceversa. Frani costruisce i suoi bianchi attraverso la pittura e in questa costruzione eleva la superficie alla dignità  di un mistero.
Il velo non ricopre l’essenza, non occulta il mistero, non nasconde il mondo. Il velo è il mondo; non c’è mondo senza velo. Il mistero del mondo è tutt’uno col mistero del velo.


Massimo Recalcati tratto da Il velo e la lontananza. Una nota su Ettore Frani 

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