Il profumo del pane

 

a cura di Giovanni Gardini | Chiesa di Santa Maria dell'Angelo, Faenza

 

a cura di Luigi Codemo | GASC Galleria d'Arte Sacra dei Contemporanei, Milano

 

a cura di Giuliano Zanchi | Oratorio di San Lupo - Museo Bernareggi, Bergamo

 

 

Questa mostra riflette sul valore del pane come elemento centrale della vita degli uomini. Il pane racconta gli ambiti principali dell’esistenza umana, dall’esperienza del lavoro a quella della condivisione e del perdono; richiama la terra e la bellezza dei campi, l’acqua e il calore del fuoco. Nel pane si strati cano antiche tradizioni nelle quali s’incontrano le generazioni.
Ettore Frani, Matteo Lucca e Daniela Novello, giovani artisti con esperienze internazionali che da anni lavorano su questo tema universale, sono stati invitati per creare un percorso umano e spirituale che per emergere il significato del pane nella sua essenza. Le loro opere interpellano i visitatori a meditare sul pane sia come esperienza d’incontro di uomini con altri uomini sia come possibilità di dialogo tra l’umano e il divino.
La mostra, concepita dal Museo Diocesano di Faenza per gli spazi della Chiesa di Santa Maria dell’Angelo con la cura di Giovanni Gardini, costituisce un percorso che verrà declinato in momenti successivi, all’interno degli spazi e delle collezioni di altri due musei, la GASC di Milano con la cura di Luigi Codemo e il Museo Bernareggi di Bergamo con la cura di Giuliano Zanchi, quale cooperazione nella comune attenzione dedicata all’arte contemporanea.

 

 

 

La mostra itinerante è concepita dal Museo Diocesano di Faenza per gli spazi della Chiesa di

Santa Maria dell'Angelo a Faenza giungerà, nel corso del tempo, presso altri spazi museali nazionali.

 

 

Chiesa di Santa Maria dell'Angelo | Faenza 

GASC Galleria d'Arte Sacra dei Contemporanei | Milano 

Oratorio di San Lupo - Museo Bernareggi | Bergamo

 

 

Arca, attesa (dittico)

 

Ettore Frani. Endoscopie della donazione
di Giuliano Zanchi
 
La storia cristiana ha spesso prediletto gure mentali di pienezza. Che si trattasse di de nizioni dogmatiche o immagini sacre. Un codi cato perimetro di certezze in cui non ha posto un solo centimetro di penombra. Anche il tema principe del pane è stato a lungo questione di una presenza piena, solida, inequivocabile, che le disquisizioni dialettiche della teologia guardavano soprattutto come uno strabiliante potere del soprannaturale. Il disco tondo e bianco, perfetto e luminescente, era un talismano di certezze, capace persino di sanguinare davanti ai dubbiosi. Una forma di intatta plenitudine che traduceva per il tema della cena l’affermatività perentoria che della passione davano quelle iconogra e del risorto trionfante sul bordo di una tomba con la bandiera in mano. Il trionfo di una visione satura, perentoria, colma, che il cristianesimo di oggi, ferito e disorientato, rimpiange con dolente nostalgia.
Nel frattempo molta acqua è corsa sotto i ponti. Anche nelle cose della fede si è imparato a entrare in punta di piedi. E dalla miniera della tradizione evangelica si estrae materiale di maggiore essibilità simbolica, forse più prossima alle sue originarie intenzioni, più vicine alla verità del loro centro propulsore. Come il senso di quella cena, in cui del pane è diventato segno della divina dedizione, un pane che si rompe come segno di una vita che si dà. Quando le immagini provano a inerpicarsi sull’irta parete di questi paradossi rischiano spesso di precipitare
 
nel vuoto della retorica. Specie oggi che non ha più senso la pura mimesi dei grandi maestri con le loro apologie del santissimo sacramento e le loro scene di resurrezione, che ci valgono oggi soprattutto per via del loro grande talento.
Perciò l’invenzione di Ettore Frani ha qualcosa insieme di umile e di nuovo. Un piede tirato indietro sul ciglio della retorica. Ma anche risolutamente immerso nell’audacia di una nuova narrazione, che alla tradizionale maestria della pittura a olio congiunge il guizzo dello sguardo concettuale, nendo per cogliere nella forza del segno temi e gure che la tradizione ha alquanto estenuato, e che nelle sue due opere riacquistano una loro nuova persuasione. Il gesto è semplice e nello stesso tempo ardito. Congedarsi dalla crosta del dogma, che sia linguistica o gurale, aprire la forma, no a mostrare il dentro. Esercizio visivo quanto spirituale. Così il canone dell’ostia consacrata e la retorica del pane spezzato prendono la via, poetica e formale, di un pane visto da dentro, la parte concava di un piccolo emisfero che dipinto nella sua frontalità sembra rinnovare la tradizione iconogra ca del sacro cuore, anche quello interiorità esposta, protesa, offerta. E uno stesso esperimento di intrusione guida anche questo sguardo sulla misteriosa incognita di passione morte e risurrezione, di cui i vangeli stessi economizzano dettagli. Anche qui Frani prova a guardare dentro, come le donne nel racconto evangelico, sezionando idealmente la tomba, spezzandola come il pane di prima, trasformandolo in una catacomba/forno, che se mai ha contenuto qualcosa esso ha la traccia dell’assente, del vuoto a perdere, proprio come in quei versetti che si ha spesso troppa ansia di completare. Per chi crede questo vuoto non è che la parte concava di un corpo donato.

 

 

 

Installazione temporanea presso l'altare maggiore Chiesa Santa Maria dell'Angelo a Faenza

foto: Paola Feraiorni

 

 

Installazione presso il GASC | Galleria d'Arte Sacra dei Contemporanei a Milano

 foto: Pierluigi Gervanoni

 

 

Installazione presso il GASC | Galleria d'Arte Sacra dei Contemporanei a Milano

foto: Pierluigi Gervanoni

 

 

Installazione presso il GASC | Galleria d'Arte Sacra dei Contemporanei a Milano

 foto: Pierluigi Gervanoni

 

 

Installazione presso l'Oratorio di San Lupo | Bergamo

foto: Matteo Lucca - postproduzione: Paola Feraiorni

 

 

Installazione presso l'Oratorio di San Lupo | Bergamo

foto: Matteo Lucca - postproduzione: Paola Feraiorni

 

 

Oratorio di San Lupo | Bergamo

 

Matteo Lucca

 

Ettore Frani

 

foto: Matteo Lucca - postproduzione: Paola Feraiorni

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